Ci ho pensato, ma più ci penso e più mi dico che quando penso alla Russia – certo assieme a Putin – c’è solo una cosa che mi viene – e che mi può venire in mente. La rappresentazione della macchina, della perfezione, del corpo umano come espressione di bellezza e potenza. Tecnica sopraffina, velocità assoluta, classe dentro e fuori e per me, ricordo indelebile.
Di Zar per me ce n’è uno solo. E il soprannome non era dato a caso. Due volte campione olimpico sulla disciplina regina, esempio perfetto e universale.
Uno stile .. libero, che era la sua disciplina. Studiato e amato da tutti. Un mix di tecnica, eleganza e potenza inavvicinabile. Nessuno nel mondo del nuoto lo dimenticherà. Un signore in una disciplina che troppo spesso presenta atleti inguardabili. Veloci sì – e in fondo conta il tempo – ma privi di quella poesia che rende il nuoto un’arte.
Aleksandr Popov era unico. I fanatici diranno che come lui accarezzava l’acqua, come l’uscita del suo braccio e il gomito piegato erano precisi al grado, e l’entrata un dolce gioco di sensazioni che permetteva poi di lasciar andare la sua potenza nella fase di spinta, è sempre ancora magia. Nel 2018 forse qualcuno obietterà, o forse l’analisi biomeccanica smentirà la nostra visione romantica. Ma tant’è.
Popov, nonostante tutto, e anche dopo l’era di van den Hoogenband, Thorpe, Phelps e dei costumoni, rimane e rimarrà un’icona unica, indelebile, che sarà sempre da stimolo a chi fa vasche su vasche, ma anche a chi ama lo sport puro.
Per me, non c’è quindi discorso: lo zar è lui. Punto!

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