Le speciali

Sono quelle cose che ti segnano già dalla prima volta che le vedi, quasi un colpo di fulmine, perché in fondo ne ho viste tante, tutte diverse, e potevo anche rimanere indifferente, non scegliere la mia preferita. Se cerco una spiegazione a questo fatto non la trovo. Forse erano le immagini più crudeli, quei visi pieni di terra e fango, le gambe che sembravano faticare a spingere su quelle strade, il sasso dato al vincitore che mi ricordava la mia città. La Rubaix non é come le altre, lei per me é La corsa. Chilometri e chilometri di battaglia, vera, dura, insidiosa. Metri e metri percorsi su quel pavé, apparentemente così affascinante, ma che nasconde un’insidia in ogni suo centimetro. Fango, terra, polvere, acqua, scivoloni, forate, sudore e stanchezza. Tutto questo è la Rubaix. Storie di uomini con un unico scopo, quello di percorrere quei tratti di pavé più velocemente degli altri, e arrivare soli nel velodromo per essere accolti da una folla festante che li elegge a re per un giorno. Me ne sono innamorata, così, in un momento. Ho visto trionfare Johan Museeuw, il belga, per 3 volte (1996, 2000 e 2002). Era il solo, per me, capace di volare su quei sassi insidiosi, capace di lottare contro il fango, contro la stanchezza, contro la sfortuna. Era l’unico, capace di controllare la corsa, di capire quando era il momento di scattare, quando gli altri eran in difficoltà. Vincere diventa una lotta contro se stessi, li, davanti a tutti. La vedevo così La Rubaix, attaccata ad uno schermo televisivo, con quella tensione che hai quando segui una gara, perché lo sai che ogni secondo può essere quello fatale, quello in cui parte la fuga decisiva, quello in cui il favorito fora e dice addio al trionfo. Ogni anno, un appuntamento che non potevo mancare. E il sogno era uno, che un giorno avrei potuto viverla fino in fondo, assaporare tutti i suoi attimi.

Un predestinato, dicevano, uno che è nato per stare su una bicicletta, con una grande forza mentale e un talento assoluto. Fabian Cancellara. Ho cominciato ad accorgermi di lui quando ha vinto i primi titoli mondiali juniores, nel 1998 a Valkenburg e nel ’99 a Verona. Già li lo segnalavano come una grande speranza e io lo vedevo già vincere il prologo del tour de France, o stabilire il record dell’ora. Un meticcio tra Tony Rominger e Alex Zuelle, i 2 campioni svizzeri di quegli anni, che facevan faville al tour de France e a cronometro. In fondo non mi sbagliavo di molto, perché nel 2004 Fabian vinceva il prologo e indossava la maglia gialla della grande boucle. Un grande risultato, che avevo osato sognare quando era ancora uno juniore. Ma se i miei sogni finivano li, le vittorie di Fabian no. È stato qualcosa di eccezionale, di emozionante, vederlo entrare da solo nel velodromo di Rubaix e tagliare la linea del traguardo, con i colori rossocrociati a sventolare in una giornata memorabile, dopo 83 anni. Talmente eccezionale che non ho mai creduto si potesse avverare. E invece no, ecco che La mia corsa preferita, ad un tratto diventa veramente un po’ mia. Ecco il giorno in cui ho assaporato la Rubaix in ogni suo profumo e sapore, fino all’ultimo istante grazie a quel legame che noi tifosi abbiamo con i rappresentanti della nostra nazione. Il grande fascino della corsa, e il grande fascino dei colori rossocrociati che sventolavano nel cielo di Rubaix.

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