Dicono che o lo ami, o lo odi. Dicono.
Un po’ come un altro grande campione nato nel ’67, che ha sempre diviso..
Che poi in realtà dividevano più gli allenatori del pubblico. Eh sì, perché il pubblico di dubbi ne aveva molti di meno. Il pubblico li voleva, entrambi, in campo. Poco importa se dovevano aspettare 90 minuti per una magia, poco importa se qualche volta hanno pure deluso, perché lo spettacolo di quel momento unico che potevano regalarti valeva tutto. Tutto!
Le loro due storie, nella mia mente, creano dei ricordi indelebili e non sono poi tanto lontane una dall’altra. Kubi è stato per certi sensi il nostro Baggio. Quello attaccato all’ACB da sempre, come Baggio lo era della “sua” Fiorentina. L’idolo del pubblico, nonostante gli allenatori non lo volessero molto fra i piedi. Kubi -soprattutto con la nazionale – ha alimentato polemiche su polemiche, quando in realtà era inconcepibile lasciar fuori il più grande attaccante che la Svizzera abbia mai visto. Baggio dal canto suo, non se la passava meglio. E allora ecco che entrambi giocavano o stavano in panchina a dipendenza dagli umori dei loro allenatori, o da quanto l’opinione pubblica metteva pressione.
Noi da fuori soffrivamo. Perché per noi il loro essere in campo valeva la partita. Perché di calciatori così, il calcio ne ha bisogno; e ogni minuto in campo era un dono inestimabile che loro facevano al mondo.
Poi il ’94. Quell’anno che per Kubi è sinonimo di esclusione dai mondiali in America. E per Roberto Baggio, beh, è l’anno nel quale decise tutto all’ultimo. Ma è anche l’anno del braccio di ferro con Sacchi e la sostituzione dopo l’espulsione di Pagliuca. Insomma uno era tanto atteso e non c’era, l’altro c’era ma con i soliti problemi al ginocchio che lo hanno accompagnato per tutta la carriera. L’uno ti chiedi ancora ora come sarebbe andata se ci fosse stato e l’altro forse… viceversa! Ma fanculo agli allenatori e ai risultati, noi li volevamo lì, sempre!
E invece non era proprio così, anche se sì, Baggio bene o male c’era a Pasadena, mentre Kubi era nelle strade di Bellinzona – e quando mai potrai scordarti che a 10 anni, nel pieno dei mondiali di USA’94 te lo ritrovi li davanti.
Beh, entrambi valevano il prezzo del biglietto. Entrambi mi sono rimasti nel cuore, nonostante due caratteri diversi. L’uno riservato e l’altro, beh, l’altro, è Kubi!
Entrambi ci hanno fatto innamorare del calcio. Degli scatti, della velocità, di chi vede la porta anche a occhi chiusi.
Baggio e la sua umiltà, le sue punizioni, i suoi scatti e anche le sue delusioni. Kubi e la sua velocità, la sua furbizia, la sua sfacciataggine e le partite fuori a guardare.
Due ormai cinquantenni, che ci hanno lasciato negli occhi le loro giocate e nel cuore un affetto che non si può spiegare.
Sono queste, le cose belle del calcio. In barba al calcio moderno di Sacchi e al culo – e mi scusi la regina – di Hodgson.
Auguri campioni!
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